Camerun 2013- Il diario del viaggio
Rita, Chiara, Mondo e Ignazio sono tornati dal Camerun con tanto entusiasmo e tanti progetti .
I video del viaggio
Diario dal Camerun
22 gennaio-5 febbraio 2013
(a cura di Rita, Chiara, Mondo e Ignazio)
scritto in Camerun durante il soggiorno a Yagoua e Mayda
( scarica il PDF con le immagini :
Diario dal Camerun, 22 gennaio-5 febbraio 2013 )
Prima giornata africana (22-23 gennaio)
Carissimi,
Eccoci finalmente a Yagoua . Il viaggio è stato molto lungo e molto pesante, sicuramente più di quanto potessimo immaginare.
Dalle 6 del mattino (in piedi dalle 4,30) siamo arrivati a N’Djamena in Ciad alle 22 e all’aereoporto abbiamo avuto la prima percezione di cosa sia l’Africa. Dopo aver passato il posto di polizia siamo andati al ritiro bagagli dove abbiamo lottato non poco per gestire un assalto di volenterosi ragazzi che volevano a tutti i costi aiutarci a portare le valige che complessivamente erano 12. In questa confusione, molto simile al gioco delle tre carte, dove valige venivano spostate da un carrello all’altro, con la paura che qualcuna prendesse una destinazione non scelta, siamo riusciti ad uscire dall’aeroporto e finalmente abbiamo incontrato Tonino, il missionario che ci ospiterà per tutto il nostro soggiorno.
Caricate le valige nella jeep che Tonino aveva recuperato, siamo andati nella casa di accoglienza della missione di Kabalai.
Per arrivarci dall’aeroporto siamo passati lungo una strada che costeggia il palazzo presidenziale dove i militari hanno l’ordine di sparare su qualunque macchina si fermi . Chiaramente abbiamo tirato dritto a tutta velocità, ( recentemente hanno sparato sull’ auto della moglie del l’ambasciatore Americano che si è fermata per salutare un conoscente).
Finalmente arrivati alla missione e sistemati nelle nostre camere abbiamo avuto un’altra sorpresa : le valige non erano 12 ma 13 e ora si poneva il problema di cosa fare .
Ci avremo pensato l’indomani mattina, l’avremo portata all’agenzia che si occupa di fare le pratiche per il visto del Ciad.
E così il giorno dopo, mercoledì 23 gennaio, la mattina, Tonino e Mondo sono andati all’Agenzia, che non voleva saperne di prendere questa valigia, dovevamo riportarla all’aeroporto, perchè eravamo noi che l’avevamo presa. Di tornare all’aeroporto e di affrontare la polizia, neanche a parlarne, per cui Tonino ha convinto l’impiegato a prendersi cura di riconsegnare la valigia. Per fortuna non è stato necessario mettere in atto l’alternativa che Tonino ci aveva prospettato: abbandonarla per strada come si fa con i bambini neonati indesiderati, in Italia…
Con i tempi degli africani, alle 10 e non alle 9, é arrivato il pulmino che ci ha portato a Bongor, il villaggio sul fiume Logone che fa da frontiera con il Camerun. Quando arriviamo ormai sono le 13,30 e il sole fa veramente caldo. Qui c’è stata la percezione vera di essere dei « clandestini » perché, senza passaporto (trattenuto in aeroporto per il visto e che ci riconsegneranno nella migliore delle ipotesi fra tre giorni) e solo con la fotocopia del visto, Tonino ha usato il sistema, molto italiano, per farci diventare improvvisamente regolari . Ma la sorpresa è stata che per arrivare al fiume dovevamo portare i bagagli, che con l’aria africana hanno raddoppiato il peso, per circa 500 metri che sono sembrati 5 km di sabbia desertica. Al fiume nuova contrattazione con il traghettatore della piroga . Altro tratto di sabbia, ma questa volta solo 50 metri che hanno provato tutte le nostre energie .
Tonino é andato a prendere la sua jeep e finalmente ci ha portato alla missione di Yagoua dove abbiamo potuto rinfrescarci e pranzare alle 4 del pomeriggio .
Per tutta la sera siamo stati deliziati dai canti festosi di una cerimonia funebre che presumibilmente si svolgeva in lontananza, ma in assenza di barriera sonora, sembrava dietro l’angolo con cori e ritmi di tamburi ; queste cerimonie durano dai tre ai sette giorni, secondo l’importanza del defunto e sono l’occasione per abbondanti libagioni. La serata si é conclusa verso le 21,30 nel rispetto degli orari locali dove la sveglia al mattino è intorno alle 6.
Giovedì 24 gennaio
La nostra giornata è stata molto intensa anche oggi.
Di mattina siamo andati al Centro Culturale di Tonino. Qui ci sono computer e qualche libro e in futuro, quando ci saranno i soldi, saranno costruite le stanze del museo Masa di cui vi parleremo più avanti.
E’ stata per noi l’occasione per spedire qualche mail, e vedere i ragazzi che si recano lì per utilizzare il computer.
Abbiamo conosciuto un ragazzo che ha studiato agraria a Sassari e parla l’italiano molto bene per merito di una borsa di studio.
Grace e Charité sono due bellissime ragazze di 18 anni che ci hanno un po’ adottato per cui si sono prese la responsabilità di contrattare il prezzo dei nostri acquisti come se fosse roba loro. Era curioso vederle come si arrabbiavano con i commercianti e tiravano il prezzo e solo quando erano soddisfatte ci permettevano di pagare.Il pomeriggio siamo andati al mercato di Yagoua del giovedì dove c’è di tutto. Avevamo come guardia del corpo, oltre Tonino che non ci mollava un attimo, due gemelle che ha conosciuto Tami la nipote di Tonino.
Tonino ci ha raccontato che per queste popolazioni i parti gemellari che sono comunque frequenti, sono un po’ una maledizione per cui generalmente un neonato viene ucciso, mentre in altre zone i gemelli sono di buon auspicio.
La cerimonia funebre di cui vi abbiamo già raccontato doveva essere di un defunto di poco conto perché di sera non si è sentito nulla. In compenso domenica Tonino dovrà celebrare un funerale e magari ne sapremo di più.
Non vi abbiamo parlato degli altri abitanti della casa. Oltre Tonino vivono qui Renato che fa i pozzi, ma crediamo che sia anche un religioso, e Sergio che però non abbiamo ancora incontrato perché viene qui la domenica sera e riparte a Marowa il martedì dove crediamo che insegni teologia; per il resto ha parrocchia a Dana, a circa 20 km da Yagoua.
Dal 20 dicembre è qui Tami che ha 22 anni e come regalo di laurea ha voluto fare questa esperienza.
E’ una ragazza molto simpatica ed essendo qui già da un mese ci aiuta molto nel capire questa cultura così diversa dalla nostra.
Tami sta dando il suo contributo insegnando inglese ai bambini della scuola elementare.
Mondo ha già visto come organizzare l’orto di Tonino e “l’idraulico” ha già fatto i collegamenti per l’irrigazione, ma come abbiamo già detto i tempi africani sono diversi dai nostri per cui per la sistemazione del terreno e le canalette si vedrà.
Per ora abbiamo sempre mangiato alla sarda, gnocchetti, il risotto con i funghi e verdure che tardano a cuocere forse perché sono biologiche.
Chissà che giornata ci aspetta domani
Ci siamo: ora iniziamo a capire che cos’è l’Africa che non vediamo spesso in TV
Dopo i primi due giorni di viaggio, finalmente ci siamo “ambientati”. L’ambiente si caratterizza per:
- elevata temperatura, oggi 25 gennaio abbiamo raggiunto i 41 gradi, ma si tratta di un caldo secco
- dilatazione dei tempi, un po’ come nel Sud America; lo sapevamo e non siamo venuti qui per lavorare o reggere ritmi stressanti
- anticipo degli orari; vuoi per il clima (fa luce dalle 6 del mattino alle 6 di sera, in ogni stagione), vuoi per le abitudini di chi ci ospita, si pranza entro le 13.00, si cena entro le 19.00 si va a nanna alle 21.30 e ci si sveglia alle 7.00 al più tardi.
Siamo ospiti a Yagoua (si legge con l’accento nella prima A) nei locali (alcune capanne/bungalow e poche stanze) della Curia affidati a tre “fratelli” di cui due sono sacerdoti ed uno è solo “frate”, tutti Saveriani. Ma di loro ne parliamo dopo. Prima è giusto sapere che Yagoua è una città di 30-40.000 abitanti; per il Nord Camerun è grande. Ma toglietevi dalla testa il concetto di città occidentale. Non ci sono palazzi, non mi pare di aver visto una sola casa di due piani, per esempio; le case sono molto semplici, spesso solo delle capanne con muri in mattoni crudi e tetto in paglia come quella dove stanno Rita e Mondo; c’è un uso molto forte delle lamiere come tetti delle abitazioni più “distinte” e/o degli altri tipi di caseggiati (è così la stanza dove siamo io e Chiara). La parola coibentazione non esiste. Ci sono in città anche delle specie di ville, perché i ricchi abitano anche in questo paese generalmente povero, ancora più povero nelle zone rurali come il Nord del Camerun; peraltro la ricchezza, in genere, è sorella della corruzione che, purtroppo, è molto diffusa tra i politici locali (della serie tutto il mondo è paese). In quest’area del paese non c’è industria; il commercio della birra è forse l’attività più fiorente; ci sono diverse botteghe di prodotti per la casa, per l’edilizia, pochissimo artigianato. A dire il vero c’è un’altra attività di piccola industria, diciamo artigianale: è la costruzione dei mattoni con la terra argillosa di queste parti; per la maggior parte delle persone si tratta di autocostruzione, cioè farsi i mattoni per farsi la casa, generalmente la capanna circolare con tetto in paglia; ma molti fanno mattoni per venderli; soprattutto in città se ne acquistano; in questa attività potete trovare anche giovani e studenti che in questo modo si fanno un piccolo reddito.
Il centro delle attività commerciali di Yagoua è il mercato che si svolge tutti i giorni, ma solo il giovedì è veramente completo e ricco di varietà tali di prodotti da far accorrere la gente dei villaggi attorno a Yagoua. Abbiamo visto mercati in altre cittadine del Chiapas, per non parlare poi di quello di Salvador Bahia ed i colori delle persone e dei frutti sono la loro caratteristica: qui è tutta un’altra cosa, anche d al punto di vista cromatico è il grigio che fa da sfondo e prevale sui colori; il mercato è molto più rudimentale, ancora meno rispetto (che nel Sud America già messo maluccio) delle condizioni igieniche che da noi occidentali si direbbero essenziali; molti bambini attaccati ai genitori espositori e molti ragazzini, anche neonati, per strada e tra i banconi.
Qui a Yagoua Tonino Melis ha fondato e costruito il Centro Culturale della Valle del Logone. Il Logone è il fiume che fa da confine tra il Camerun del Nord ed il Ciad; lo stesso fiume che abbiamo attraversato in piroga.Per le strade è un mix di persone, moto, macchine (poche) e capre (molte, ma molte di più). Le strade non sono asfaltate, né dentro la città, né fuori, se non quelle, pochissime, di collegamento tra le principali città. I rifiuti sono una parte caratteristica del paesaggio: soprattutto la plastica la fa da padrona perché non si smaltisce col tempo, ovviamente, come i rifiuti organici, anche quelli delle persone, che purtroppo non sono infrequenti per il semplice motivo che i bagni pubblici non esistono neppure nei pochi esercizi pubblici (i bar non esistono). E’ un quadro molto crudo e può sembrare esagerato, ma l’Africa è Africa, ragazzi! Io personalmente non mi aspettavo nulla di diverso. Certo, ci sono aree più sviluppate anche in Africa (e noi non siamo in una di quelle); ci sono città grosse che assomigliano alle metropoli occidentali, magari più degradate, ma c’è tanto territorio e tanta popolazione che vive in uno stato di miseria e povertà, più che in altri Continenti perché l’Africa sconta anche una maggiore immaturità politica, un maggior numero di guerre e non possiamo meravigliarci visto che la maggioranza dei paesi africani ha raggiunto l’indipendenza solo da 50-60 anni.
Il Centro Culturale è una cosa di avanguardia, per Yagoua. Intanto precisiamo che è una struttura laica e che vede presenti e partecipanti persone di qualunque religione o etnia. Lo sviluppo previsto, dall’attuale ciber cafè/sala lettura/biblioteca, oltre che luogo per corsi e riunioni, è quello di un vero e proprio museo. Va detto che Tonino Melis è uno studioso, forse il maggiore vivente, della cultura e della lingua dei Masa (si legge con la doppia esse) e dei Gizey (si legge ghisei), due popolazioni molto curiose e particolari che hanno ancora vive le loro tradizioni. Ma dovete sapere che in Camerun si parlano 200 diverse lingue locali, oltre il francese assunto a lingua “nazionale”.
Oltre Tonino qui nella casa che ci ospita c’è anche Renato, un esperto in costruzione di pozzi e poi c’è Sergio, l’altro sacerdote oltre Tonino. Quindi sia Tonino che Sergio hanno una parrocchia, in due distinti villaggi fuori di Yagoua; anche qui non fatevi ingannare sul concetto di parrocchia; è tutto molto differente che da noi, ma avremo modo di parlarne dopo che sabato e domenica potremo visitare il villaggio rurale della parrocchia di Tonino. Si trova a Giugunta, circa 40 km da Yagoua; è lì che incontreremo Robert, il giovane che conduce la fattoria agricola didattica.
L’ultima cosa che voglio dirvi è che Tonino e lo stesso Renato (Sergio lo conosceremo da domenica in poi) tutto sembrano tranne che dei religiosi. Sono essenzialmente uomini, persone che vivono come tutti noi, più in semplicità, certo, in mezzo ad una realtà molto difficile, povera, arretrata (per il nostro concetto di modernità, s’intende). La loro attività religiosa è il vissuto quotidiano; hanno un solo momento di preghiera al mattino presto in una capanna trasformata a cappella, ma non ci hanno mai chiesto di unirci a loro; ho visto la cappella: è tanto semplice e bella che ti fa davvero riflettere su quanto dovrebbe essere semplice anche la religione. Quanto Tonino segua la sua parrocchia lo scopriremo meglio tra sabato e domenica, ma questa è un’altra storia da raccontare in seguito.
Venerdì 25 gennaio
Mondo e Ignazio hanno accompagnato Tonino a comprare del materiale che serve per i lavori della prima sala del museo. Mondo non voleva perdere l’occasione di vedere cosa offre il mercato e chiaramente fa i paragoni con le botteghe di Sestu.
Chiara e Rita hanno approfittato per andare alla lezione di inglese tenuta da Tami. Tutti i bambini si sono avvicinati per stringere la mano e salutare con un bonjour i nuovi arrivati e le bambine erano affascinate dai capelli di Chiara lisci e lunghi. Abbiamo capito che quando le donne hanno i capelli lunghi è perché hanno le estension e questo ci ha sorpreso perché mettono i capelli finti anche alle bambine molto piccole. La lezione di inglese in cui Chiara e Rita hanno dato un contributo con i suggerimenti, a volte sbagliati, era il gioco che tutti noi abbiamo fatto da piccoli: nomi, animali, frutti, costruzioni…
Di pomeriggio abbiamo fatto la nostra passeggiata rilassante sotto il sole delle 15,30 con 41° gradi all’ombra, ma solo per due chilometri, e come in una via crucis c’era la sosta obbligata sotto i pochi alberi lungo strada. La destinazione era il liceo bilingue dove si svolgevano le prove di ballo in previsione della festa della gioventù.
Dopo cena Tonino ci ha fatto vedere due filmati degli anni ’60. Non erano Battisti e Mogol, ma dei filmati originali su vita e tradizioni del popolo dei Masa.
Sabato 26 gennaio
Stamattina abbiamo iniziato una nuova avventura. Siamo andati alla fattoria di Robert e qui abbiamo visto subito un problema da risolvere. Da una settimana si è guastata la pompa sommersa e Mondo e Ignazio (stile Amaro Montenegro) hanno aiutato a risolvere il problema sotto gli occhi curiosi degli abitanti della fattoria.
Ci hanno dato le loro stanze dove dormire.
La sensazione è di rivivere la vita di campeggio di tanti anni fa dove si chiude gli occhi su molte cose e ci si adatta su tutto. Si può vivere anche con poco e se ti manca qualcosa ne fai a meno o trovi come sostituirla.
Con noi ha pranzato Robert, mentre la moglie e i figli hanno mangiato separatamente.
Questo non ci è piaciuto, ma loro fanno così.
Il pomeriggio Tonino doveva celebrare il funerale di un uomo morto una settimana fa. Qui seppelliscono i morti vicino alla casa e fanno il funerale solo quando la famiglia è pronta, cioè quando ha la disponibilità di offrire un rinfresco ai partecipanti.
Così, finito il rito funebre, siamo entrati nella loro casa dove abbiamo dovuto “gradire” la boule che è il loro piatto principale: una polenta di sorgo che si condisce con un sugo con spezzatino.
Questa è stata la nostra prima esperienza di cucina locale, neanche ben riuscita, e abbiamo ingoiato in fretta come una medicina amara, una piccolissima porzione. Da ammirare il coraggio di Chiara che, per non offendere la cuoca e i parenti del morto, è riuscita ad ingoiare anche un pezzetto di fegato.
Il rientro alla fattoria è stato interessante perché ci siamo fermati allo stagno dove speravamo di vedere gli ippopotami. Chiara è l’unica che è riuscita a fotografarne qualcuno. Questo è un altro posto dove ci siamo sentiti dentro un documentario di Piero Angela.
Poco distante c’è il vascone (non è altro che un grande scavo riempito con l’acqua di un pozzo) dove Robert e una decina di altri uomini hanno organizzato un rudimentale impianto di pescicoltura che se riusciranno a portare a termine il ciclo vitale dei pesci, darà loro un ottimo contributo per migliorare l’alimentazione.
Rientrati alla fattoria, nuova boule questa volta preparata la Janet la moglie di Robert che siamo riusciti a convincere a sedersi a tavola con noi. Forse con le boule dovremo aver terminato
Domenica 27 gennaio
Dopo una notte quasi insonne a causa di un gallo che ha stazionato davanti alle nostre camere e con la sveglia programmata ogni dieci minuti ci ha tenuto compagnia, siamo andati alla Messa della domenica. Anche questa è stata una bella emozione.
La Messa è stata celebrata da Tonino a circa 4 km dalla fattoria e tutti insieme, noi e Tonino dentro la jeep e i figli di Robert ed altri dietro nel “cascione”, siamo passati in una strada creata per l’occasione dalla jeep e tra sobbalzi vari siamo arrivati nel punto dove nel 1953 era arrivato il primo missionario. Per assistere alla Messa i fedeli sono arrivati da molto lontano, anche 10 km a piedi (ma è assolutamente normale fare questa percorrenza a piedi da queste parti), vestiti con l’abito della festa, pulito e stirato. Erano elegantissimi e ci ha sorpreso tanto la loro partecipazione.
In questa occasione, oltre al funerale di ieri, abbiamo visto che Tonino è “ anche” un sacerdote, perché in tutti questi giorni ci è sembrato molto, molto laico, aperto ai cristiani e ai non cristiani , impegnato a inventarsi qualunque cosa che procuri cibo per sfamare questa gente. Si, perché qui il problema principale è mangiare.
In pomeriggio Tonino ha distribuito i giochini che ha inviato Sandra e vi lasciamo immaginare la gioia dei bambini e delle mamme che hanno voluto la foto.
Tu chiamale se vuoi… Emozioni. Anzi, emozioni forti
Siamo stati a Mayda, la regione dove sta la fattoria costruita da Tonino Melis con la famiglia di Robert; il nome non vi tradisca: è un Masa, anzi un Gizey, ma non diteglielo che si offende; preferisce, come tutti i Gizey, essere considerato un Masa.
La sua famiglia è monogamica ed ha sette figli; penso al fatto che Robert ha l’età di mio figlio Fabrizio e Valentina; penso anche al fatto che la figlia maggiore di Robert, Nina, bellissima che sembra un’attrice, ha già 17 anni!
Le emozioni forti le abbiamo provate sin dall’arrivo perché siamo stati ospiti in una casa di popolazione indigena, dove abbiamo condiviso senza alcuna mediazione la vita quotidiana, anche gli aspetti negativi della stessa. Ma le emozioni le abbiamo vissute anche durante due celebrazioni cui abbiamo partecipato ; la prima una messa per un funerale. E’ normale che il funerale si svolga anche mesi dopo l’avvenuto decesso; abbiamo assistito anche ad una messa ordinaria la domenica mattina, ma celebrata in campagna, nel luogo dove arrivò 60 anni prima il primo missionario saveriano. Le emozioni sono state il vedere come gli africani intendono la celebrazione; un momento comunitario nel quale ci si esprime come nella vita quotidiana; si parla, si canta e si balla con ben pochi freni; qui solo le riprese che abbiamo fatto vi renderanno conto esatto di ciò che abbiamo vissuto. Tutto è stato emotivamente forte, ma ancora di più lo è stato vedere come questo avvenga quasi allo stesso modo nel momento “triste” quanto nel momento ordinariamente “felice”.
Torniamo alla famiglia ed alla fattoria di Robert. Attorno alla fattoria ruotano 6 gruppi familiari e oltre 60 persone. C’ una dimensione comunitaria reale con servizi comuni che non annullano affatto i singoli nuclei. Anche qui, come in città, trovate persone ed animali nello stesso ambiente e la cosa, lo capisco, non piacerà a nessuno di voi; ma è una fattoria e le condizioni igienico-sanitarie minime sono rispettate, altrimenti le persone non sopravvivrebbero, ovviamente, o si ammalerebbero di continuo. Le vaccinazioni, alle persone ed agli animali, sono programmate e vengono effettuate dalla maggioranza della popolazione; alcuni le rifiutano per credenze religiose indigene. Il livello ed il tenore di vita sono assolutamente semplici, ma c’è una cosa che non mi piace: un certo maschilismo e un qualche senso di razzismo sono ancora forti. Tuttavia più di qualcosa si muove; non a caso la moglie di Robert, anche lei una bellissima donna nonostante i 7 figli, ha deciso di prendere gli anticoncezionali per fermarsi con le gravidanze. Le donne iniziano ad avere un ruolo che non è più solo di sottomissione e di “riproduttori”; molte di loro lavorano anche in ruoli che in Europa sono prettamente maschili. Alla cena del sabato, insistendo un pochino, siamo riusciti ad avere a tavola, oltre a Robert, anche sua moglie, ma non, per esempio, i loro bambini e questo mi è dispiaciuto molto. Avremmo voluto condividere il pasto con tutti e non, invece, dare ai ragazzini l’avanzo del nostro pranzo, ovviamente molto più gradito del pasto che già avevano consumato per loro conto e composto sostanzialmente dalla boule (palla in francese) che è proprio una palla di polenta di miglio accompagnato in pochissime occasioni da un pezzo di carne, generalmente di capra.
Il sabato sera, “abbiamo mangiato con le mani” il pasto tradizionale (boule con carne di capra); ci si lava le mani in un unico recipiente prima e dopo il pasto; non si usano né posate, né tovaglioli. Per ora siamo sopravvissuti! Io, comunque, a fine pasto, sono andato nel bagno a lavarmi le mani col sapone, perché… mi dava fastidio il grasso dell’olio della carne…
Abbiamo fraternizzato con tutti i componenti della famiglia ed abbiamo invitato Robert a stare a casa nostra a fine primavera; potrà così conoscere diverse nostre aziende socie della Cooperativa ed imparare diverse tecniche di conduzione dell’orto. Nella fattoria,, infatti, c’è un po’ di tutto: ortaggi, frutta, capre, pollame, bovini, suini, anatre e soprattutto un gallo amico di quello che aveva fatto amicizia con Marco Porrà a Salvador Bahia. Come ti ho capito, Marco, questo sabato notte dalle due alle 6 del mattino!
Se Robert verrà, sarà molto bello per tutti noi che potremo approfondire la conoscenza di una persona genuina e forte che sta conducendo una battaglia che ha anche valore di testimonianza per cambiare una società troppo basata sull’autosufficienza che poi non è affatto sufficiente. Robert è un animatore in tutti i sensi; pensate, in una società fortemente caratterizzata etnicamente che ancora, unica al mondo, ammette il regicidio (per non esserci equivoci, l’ammazzamento del Re che non muore mai di morte naturale perché un Re ammalato è inconcepibile) ha costituito e coordina il GIC (Gruppo di Iniziativa Comunitaria) un’Associazione che ha promosso l’attività della piscicoltura in alcuni stagni appositamente costituiti, funzionanti con pannelli solari e gestiti da una decina di capi-famiglia oltre ad alcune attività di orticoltura.
Le emozioni sono anche il paesaggio: è stupendo e non è uguale a nessun altro Continente che pure con Chiara abbiamo visitato. In parte avevo già visto il Benin 7 anni fa, ma quello che vediamo ora è molto di più e molto più in profondità ed a contatto con la popolazione locale delle zone rurali, quelle meno condizionate dalla cultura occidentale. Non credo di avervelo detto, ma non abbiamo visto un solo televisore in questi giorni; proprio non è diffuso e comunque non mi manca affatto.
Le emozioni sono anche la bellezza delle persone. Oddio, come da noi qualcuno bruttino c’è anche qui, ma i ragazzi e le ragazze sono generalmente alti e longilinei, molti di loro hanno tratti e lineamenti gentili; insomma nulla da invidiare alle bellezze nostrane.
E’ passata oramai una settimana e mi sento molto più ricco di quando siamo partiti: ricco di emozioni, di cose da raccontare, di cose da fare. E mi è pure passata la colite che avevo prima di partire e nei primissimi giorni di soggiorno in Camerun. Per cui vi avviso se i passaporti che ancora non ci sono stati restituiti (siamo tuttora clandestini!) non tornano per tempo, vorrà dire che dovremo prolungare il soggiorno…senza alcun rimpianto!
Ignazio
Lunedì 28 gennaio
Una giornata iniziata molto presto con la preparazione dell’orto interrotta da una donna sulla strada che piangeva e voleva essere accompagnata al dispensario perché stava partorendo.
Vi lasciamo immaginare la nostra tensione. Abbiamo mollato tutto e di corsa siamo entrati nella jeep che doveva fungere da 118. Mondo è salito nel « cascione » in modo che la donna e il marito potessero sedersi davanti, ma usciti nella strada non c’era più traccia nè della donna, nè del marito, nè del nascituro. Tonino ci ha detto che probabilmente avevano preso una mototaxi, ossia avevano chiesto un passaggio ad un motociclista che li aveva caricati dietro la moto. Provate a immaginare una strada sulla sabbia, piena di buche, dove lo sballottamento è garantito e sicuramente non c’è bisogno delle pastigline da sciogliere sotto la lingua per accelerare il parto. Non sappiamo dove sia nato questo bambino. Il dispensario non è un vero e proprio ospedale, ma un posto dove forse c’è un medico, ma almeno c’è qualche infermiere.
Ritornando alla mototaxi, questo è il mezzo di trasporto più diffuso ; l’abbiamo visto anche con tre passeggeri oltre l’autista e Mondo ha avuto il « privilegio » di salirci sopra , perché a N’Djamena è andato con Tonino all’agenzia che si occupa dei nostri passaporti.
Un’altra bella emozione è stata vissuta di pomeriggio. Siamo andati a vedere l’orto di Jaques, il ragazzo che aiuta Tonino nella gestione della casa. Rita e Chiara erano un po’ in dubbio perché le passeggiate sotto il sole del pomeriggio sono faticose, ma sono andate ugualmente perché tutti hanno detto che era vicino, proprio dietro la casa. Per fortuna il sole non era forte perché i due minuti degli africani sono stati circa mezz’ora per noi, ma lo spettacolo naturale nel quale ci siamo immersi era inimmaginabile e nessuno di noi avrebbe voluto rinunciarci.
Abbiamo visto un’altra Africa. Verde, meravigliosa, lungo la riva di un piccolo corso d’acqua, speriamo che siano uscite bene le foto. I bambini che fanno i mattoni con la terra e le donne che coltivano l’orto usando un sistema naturale di pacciamatura che dovremo adottare anche noi.
Ci piacerebbe ripetere questa passeggiata, ma siamo qui quasi una settimana e non abbiamo ancora ripetuto le stesse cose.
Dimenticavamo di dire che le due gemelle sono venute con noi. Comincia a farsi strada il dubbio che la loro frequentazione sia un po’ interessata, ma vedremo più avanti come evolverà.
Nella passeggiata abbiamo visto più volte delle bellissime aquile, ma è molto difficile fotografarle.
Martedì 29 gennaio
Oggi è il compleanno di Ignazio e stasera siamo invitati al ristorante. Speriamo bene ( no boule !).
Siamo andati al mercato per fare la spesa e abbiamo visto che il guardiano del crocevia è sempre lì.
Si tratta di un uomo di età non identificabile, che sta sempre coricato nella piazzola spartitraffico del crocevia, a tutte le ore. Dicono che sia matto e fa la guardia al piccolo monumento, un leone, al centro dell’incrocio che percorriamo quando andiamo in città.
Quando lo vediamo lì, ci tranquillizziamo, vuol dire che va tutto bene e possiamo continuare il nostro percorso.
L’orto di Tonino è quasi pronto.
Ieri Mondo ha fatto costruire la marra dal fabbro . Ha spiegato bene come doveva fare. Ignazio che faceva la traduzione simultanea e gli ha chiesto, alla fine, di portarla a « quattre heures » , deve aver sbagliato qualcosa perché al ritiro le marre erano quattro. Quindi tutti a fare canalette alla sestese. Qui non esiste la zappa e la qualità degli attrezzi da lavoro è molto scadente.
Alle 19 eravamo al ristorante, uno dei cinque presenti nella città, e a detta di Renato il migliore. In effetti ci siamo trovati bene. Nonostante la musica che ci ha accolto (prima la colonna sonora del Titanic e poi « piange il telefono ») promettessero niente di buono.
Oltre noi 7 c’erano solo altri due clienti. Comunque nel nostro tavolo lungo circa 7 metri, tutto lo spazio era occupato dai nostri piatti e dalle portate. Sembrava la cena di ricompensa dei naufraghi dell’isola dei famosi. Questa volta abbiamo gustato la cucina locale, mentre generalmente noi qui, cuciniamo come a casa ; il menù del ristorante prevedeva: antipasti a base di verdure crude (cruditè), pollo arrosto e carpe in umido, veramente deliziose, oltre le nostre aspettative; abbiamo assaggiato l’igname, un tubero dal sapore simile alla patata e dalla consistenza simile alla rapa, per l’occasione insaporito con una salsetta piccante; patate fritte, riso e spaghetti in bianco che non hanno avuto molto successo e verdure cotte. Abbiamo bevuto la birra, buona, e per frutta la papaya. Al rientro a casa Tonino ha preparato un gelato alla papaya aromatizzato con il liquore di mirto sardo.
Mercoledì 30 gennaio
Eccoci nuovamente a Mayda. Mondo e Ignazio vogliono verificare la possibilità di garantire l’acqua nella vasca dove si fa piscicoltura. E’ stata misurata l’acqua che dal pozzo può essere trasferita alla vasca, non è poca, ma le donne vanno a riempire i loro bidoni e poi c’è l’evaporazione, insomma sarebbe meglio sostituire la pompa esistente con una più potente. Poi si sta pensando di collegare la vasca grande con una più piccola in modo da creare una sorta di troppo pieno che permetta di non perdere l’acqua quando questa ha riempito completamente la vasca grande. Sicuramente è importante che le 30 famiglie che sono impegnate in questo progetto riescano a vedere presto qualche risultato. Un’esperienza così diversa, se va a buon fine, può essere veramente importante per l’economia di questo villaggio.
Siamo stati nel grande mercato di Ardaf, quello più vicino a Mayda. Bellissimo. Cercavamo anche qualche souvenir, ma è difficile trovare qualcosa di caratteristico da portare in Sardegna.
Le bellissime conche di terracotta sono troppo grandi per metterle in valigia e qui mancano completamente anche i gioiellini caratteristici. Purtroppo i monili che tutte le donne indossano sembrano cineserie, peccato perchè Tonino ha detto che una volta i Masa avevano gioielli molto belli.
Alla fattoria abbiamo visto come viene macinato il sorgo.
E’ un lavoro che spesso fanno le bambine, ma Ignazio non ha resistito alla tentazione di provarci e quindi risate a non finire.
Tornati a Yagoua, abbiamo avuto notizie del bambino nato ieri. Ci siamo sentiti rincuorati dal fatto che in questo posto anche se tarda il 118, si riesce comunque a raggiungere l’ospedale.
Ci prepariamo a scrivere e condividere il progetto
L’amarezza di non poter per ora realizzare la palestra a Salavdor Bahia lascia il posto sempre più alle idee ed alle prospettive di un nostro possibile progetto di supporto qui a Yagoua ed a Mayda.
Dopo che abbiamo incontrato a Cagliari Rita Maria e Joselito Barbosa, proprio pochi giorni prima di partire per l’Africa, e dopo aver avuto la conferma che per ora non possiamo realizzare il progetto della palestra, ma anche dopo aver avuto la conferma di quanto avevamo intuito in questi mesi, e cioè che avendo, la Pequena Ponte, ristrutturato il vecchio pollaio oramai a nuova palestra molto più funzionale dello spazio fino a pochi mesi fa unico utilizzato per le attività sportive, siamo venuti in Camerun con lo spirito e la speranza di poter identificare azioni che potessero rientrare nelle finalità dell’Associazione Il Villaggio. Abbiamo raccolto in tre anni quasi 60.000 euro e con Rita Maria abbiamo visto che l’ipotesi di rafforzare l’attività dell’attuale palestra (ex-pollaio) con il pagamento di una annualità di un istruttore comporta 12.000 euro a copertura sia dello stipendio che degli oneri assicurativi e pensionistici. Per non perdere il contributo che abbiamo ricevuto dalla PROSOLIDAR ora dobbiamo individuare iniziative concrete da potersi realizzare in breve tempo. Da questo punto di vista le proposte che ci sono state fatte qui in Camerun sembrano calate a pennello e riguardano tanto l’attività della piscicoltura e l’orticoltura a Mayda che il Centro Culturale a Yagoua.
Da una prima chiacchierata fatta in questi giorni emerge la possibilità di attività che possono realizzarsi e concludersi prima dell’estate per cui potremo scongiurare il rischio di restituire il finanziamento alla PROSOLIDAR. La caratteristica di questi mini-progetti dovrà essere, necessariamente, la semplicità e l’efficacia dimostrativa; semplicità perché noi non saremo qui tutti i giorni a spiegare o a coordinare; l’efficacia dimostrativa perché le nostre gocce non possono risolvere neanche una minima parte dei problemi se non stimolano altri a fare altrettanto.
Tra fede e scoraggiamento, su un sottile filo di un rasoio
Anche gli uomini di fede sono attraversati dal dubbio; parlo della fede religiosa come di quella laica; ci sono momenti nei quali la sconfitta ti fa credere che tutto stia crollando e ti chiedi: è proprio giusto quello che sto facendo e come lo sto facendo? Allora solo l’obiettivo da raggiungere ti guida, anche dopo lo scoraggiamento, se vuoi superare lo sconforto pensi a dove eri quando sei partito e misuri i passi uno per uno. E’ quello che sta succedendo a Tonino Melis oramai qui da diverse decine di anni. Lo constatiamo dalle sue parole; in alcuni momenti è raggiante, pieno di entusiasmo; in altri lo vedi rassegnato. Quante volte ha spiegato alla popolazione locale che del ricavato del raccolto una quota va messa da parte per l’acquisto dei semi per la coltivazione dell’anno dopo; eppure vi sono tante famiglie che si ritrovano nella impossibilità di coltivare e quindi ricavare alimenti e reddito proprio perché “vivono alla giornata” senza programmazione. Ieri si è arrabbiato perché sabato scorso, a Mayda, alla fattoria di Robert, dopo che abbiamo visto le capre imperversare nell’orto a causa della non ultimata recinzione (ne mancavano solo 3 metri) gli era stata data assicurazione che la recinzione sarebbe stata finita. Poi ha visto Robert al mercato e gli ha detto che la recinzione era stata finita; siamo passati alla fattoria ed invece tutto come prima e anche una capra dentro l’orto! Non credo che Robert abbia voluto dire una bugia; magari semplicemente, dopo aver dato l’indicazione ad uno dei suoi figli, non ha controllato che la cosa fosse stata fatta. Resta il fatto che ci si perde in un bicchier d’acqua e per noi occidentali tutto questo è inconcepibile e ti deprime. Ma se Tonino non ha abbandonato l’Africa; se ha fondato solo lo scorso anno il Centro Culturale, se accoglie con entusiasmo ogni nuovo suggerimento che gli diamo in questi giorni, vuol dire che c’è speranza che il cambiamento avvenga e che valori di giustizia e solidarietà, uniti all’emancipazione, possono essere raggiunti anche in questa parte del pianeta. Qui alla Missione a Yagoua, poi, abbiamo avuto un bellissimo riscontro con Jacques che ha dimostrato, da aiutante casalingo, una versatilità ed una propensione all’orticoltura molto alta; è una garanzia in più che lo sforzo di questi giorni per mettere su l’orto qui a Yagoua non sarà fatica sprecata.
Ignazio
Giovedì 31 gennaio
Già da ieri non c’è collegamento internet. Peccato perché volevamo inviare gli ultimi aggiornamenti.
Da qualche giorno la temperatura è scesa . Di notte si usa la coperta e possibilmente il pigiama più pesante. E’ incredibile come siamo passati dai 41° ai 30° e di sera anche 12°.
La giornata è trascorsa rapidamente tra la spesa al mercato e l’acquisto del materiale per l’irrigazione.
L’orto è già ben avviato, ma Mondo e Ignazio sono molto esigenti e quindi stanno cercando il tubo giusto per fare l’orto alla sestese, ma qui siamo in Africa e il materiale oltre che scadente non è quello che vogliono loro (tubo con gocciolatoi per le canalette e rubinetti). Si pensa alla soluzione migliore per utilizzare quello che offre il mercato locale. C’è nell’aria un senso di insoddisfazione, non si vuole andare via senza aver fatto le cose bene e quindi si cercano altre soluzioni.
Domani mattina Tonino andrà a Bongor in missione speciale: recuperare i nostri passaporti e farli vistare in uscita dal Ciad e in entrata in Camerun. Quanto sono complicati, per avere due timbri ti lasciano tutto questo tempo senza documenti.
Venerdì 1 febbraio
Di mattina presto Tonino è andato a Bongor (in Ciad) per risolvere il problema dei passaporti. Ieri chiacchierando abbiamo saputo che a Bongor gli italiani che sono arrivati la settimana prima di noi, hanno terminato i lavori nella diocesi (installazione di impianti fotovoltaici ed altro) e probabilmente hanno lasciato un sacco di materiale (tubi e raccorderia varia). Insomma, hanno portato un container pieno di materiale. Possibile che non abbiano ciò che ci serve ? Mondo suggerisce a Tonino di visitare questo container e verificare se c’è ciò che cerchiamo. E così, con la raccomandazione di non tornare senza passaporti e senza notizie certe sul materiale rimasto, Tonino parte per Bongor e noi andiamo con Renato a vedere la perforazione di un pozzo (forage) in un villaggio vicino.
Questo è un altro pezzetto di Africa. Piccoli villaggi con molte case lungo il fiume Logone che scorre lasciando a destra e a sinistra una grande « spiaggia bianca ». Nella spiaggia le donne e i bambini setacciano la sabbia per fare dei cumuli di ghiaia che serve per l’edilizia.
Al nostro rientro Tonino ci da due belle notizie: non siamo più clandestini e nel famoso container c’è del materiale che potrebbe interessarci.
Abbiamo affrontato il viaggio con ironia!
Tonino è riuscito a riportarci i passaporti vidimati dalla dogana; la speranza/il rischio di stare qui ancora a lungo sono scemati e ci riportano a quello che sarà la nostra realtà tra pochissimi giorni. Ma ci sono tante cose ancora da raccontare e prima di partire abbiamo ancora tante cose da fare, dalla discussione finale dei progetti possibili da finanziare e condividere con Il Villaggio, alle interviste, alla conclusione della sistemazione dell’orto di Tonino e Jacques all’impianto razionale dell’orto a Mayda.
In queste due settimane abbiamo affrontato una realtà cruda e per certi versi drammatica con occhi molto aperti ed anche con ironia; siamo consapevoli che potremo fare poco rispetto al tanto di cui c’è bisogno, ma già il fatto di esserci, di conoscere, di fraternizzare, di condividere idee e progetti, penso che sia molto.
L’ironia, dicevo, appunto. Vi voglio raccontare intanto i passi da gigante che Mondo ha fatto nell’apprendere il francese… Già sull’aereo AIRFrance alla partenza, senza alcuna timidezza, apostrofava l’hostess “messieu”; poi quando Rita gli faceva notare che l’hostess era una donna, proseguiva “garçonniere”…; nel primo fine settimana alla fattoria a Mayda avevamo bisogno di una scopa perché il nostro concetto di pulizia è un po’ diverso da quello locale; i bambini non capivano la nostra richiesta; Mondo si è fatto d’animo ed ha chiesto a Robert “un scov pur le pavman”. Non ci crederete, la scopa è arrivata in un baleno! Da quel momento era maturo per le conversazioni in lingua e non a caso chiama le ragazze o le signore “medmuasell”. Il massimo è stato raggiunto venerdì pomeriggio. Ci troviamo a Yagoua con Tonino e Tami (la nipote sardo-giordana di Tonino); siamo in attesa che il proprietario di una boutique (così si dice di un negozio) di stampe e serigrafia torni al negozio, lasciato aperto e incustodito per parecchio tempo.
Si avvicina un ragazzo che passa di lì e in modo molto garbato da delle occhiate verso Tami e fa delle domande (che non credo Mondo abbia capito). Mondo pensando che si riferisse a Tami gli risponde “esti giai promittia” (cosa peraltro non vera, ma comunque una buona scusa per farlo girare al largo), Perché il segreto di Mondo è questo: “il francese non lo so parlare bene, tanto vale che uso l’italiano o il sardo”. Il ragazzo continua a farfugliare allora Mondo con le dita, sfregando indice e pollice, fa il gesto dei soldi e gli dice “dinai di tenisi?” riferendosi alla dote che anche qui si usa per il matrimonio; in buona sostanza la donna che un tempo valeva anche 20 vacche ora comunque, in tempi più recessivi, ne vale non meno di tre. Il ragazzo o perché non aveva soldi (ipotesi più accreditata da Mondo, ma la più improbabile) o perché non aveva capito nulla sin dall’inizio (ipotesi più verosimile) risponde “escuse moi” e se ne va. Ci siamo pisciati dalle risate, durante e dopo l’episodio.
Ancora l’ironia. Sergio, il secondo sacerdote della Missione oltre Tonino, segue la parrocchia di Dana, un villaggio più piccolo di Yagua e distante una quindicina di km da Yagua, sulla strada per Mayda e Giugunta. Domenica scorsa è tornato pelato; gli ho detto, “da noi si dice: sei caduto? Cosa è successo?” Mi risponde: “nella mia parrocchia è stata inaugurata una boutique di coiffeur” “Quindi c’è una nuova attività artigianale?” proseguo. “Sì, l’unico problema è che la macchinetta per tagliare i cappelli non ha il “distanziale”; il neo-barbiere ha iniziato “a occhio” su una certa lunghezza di cappelli e poi ha dovuto uniformare tutto alla rapatura a zero per coprire i buchi fatti”… Il fatto ci fa sorridere, ma vi giuro che Sergio (una vera macchietta, tutto tondo, grasso e basso come è) era raggiante per l’avvio della nuova attività artigianale di cui era stato cavia.
Quanti sprechi nella cooperazione, noi dobbiamo evitarli!
Grazie al fatto di stare presso la Missione Cattolica abbiamo potuto conoscere diverse ONG ed associazioni che realizzano progetti di cooperazione ed abbiamo potuto constatare quanti sprechi ci siano, denunciati per primi, proprio da Tonino, Renato e Sergio.
Gli esempi non mancano. Macchine energivore che in Italia non si utilizzano più, perché tecnologicamente superate, e si pensa bene di mandarle in un paese che dispone di poca elettricità ed a carissimo prezzo; magari le cose cambieranno in futuro se si svilupperà l’estrazione del petrolio che però in Camerun è molto più indietro non solo della confinante Nigeria, ma dello stesso vicino Ciad.
Un altro esempio di sprechi ce l’ha raccontato Tonino e riguarda la Sardegna: il parroco di un paese ha inviato parecchie cose con un container pochissimo tempo fa, credo neppure sia stato ancora sbloccato alla dogana. Spedire un container è il modo più economico, affatto semplice dal punto di vista amministrativo e burocratico; ciò nonostante credo che il costo si aggiri sopra i 10.000 euro per singolo container. Immaginerete l’incazzatura di Tonino quando ha saputo che il container è partito dall’Italia mezzo vuoto! Al solo pensiero che si sarebbe potuto spedire attrezzature agricole, alimenti o vestiario, tante altre cose ingombranti e impossibili da inviare con le valigie dei pochi visitatori dall’Italia o da spedire per posta, a Tonino, giustamente, sono venuti i 5 minuti. Poi tutto torna nella norma, perché ci si rassegna al fatto che lo spreco è la norma. Le cause: scarsa professionalità in chi vuol dare aiuti; menefreghismo, anche; pochissima coordinazione tra chi aiuta: ognuno deve avere la sua medaglia!
Risultato: poca efficacia degli aiuti stessi.
Ma gli sprechi sono causati anche dalla superficialità con cui si progettano le cooperazioni; noi non dobbiamo fare altrettanto e per questo dovremo fare piccole cose, ma tangibili in breve tempo e capaci di stimolare la popolazione locale ad un maggiore impegno. Perché anche questo va detto: spreco è anche quello della popolazione locale che, forse proprio perché comunque non si muore di fame, se non in periodi eccezionali di carestie o altri eventi calamitosi, con una certa dose di fatalismo, accetta lo stato di cose ed anche quando le si danno opportunità di crescita non sempre le utilizza con profitto.
A maggior ragione l’aiuto materiale è valido solo se accompagnato da un supporto per la crescita umana e culturale; e Dio solo sa quanto è difficile tutto ciò quando si parlano lingue diverse e si ragiona tra popoli con diverse culture.
Tutto dipende dalla prospettiva
Vedere in ogni luogo che visitiamo i bambini brulicare, brutto termine per delle persone, ma con le immagini mi darete ragione, al nostro arrivo e seguire passo passo i nostri movimenti, è il segno che ancora il “bianco” da queste parti è visto come qualcuno strano, diverso, senz’altro più ricco e forse apportatore di qualcosa che non si ha. E ho pensato al fatto di come vediamo l’Africa dall’Europa o di come gli africani vedono noi europei. E’ tutto una questione di prospettiva e dipende dal punto di osservazione. Ma se, per una volta, il punto di osservazione fosse fuori dalla terra e vedessimo le varie parti del pianeta tutte insieme, non potremo che valutare in modo negativo che esistano queste disuguaglianze. Non è la differenza in sé che può costituire un problema: il problema è dato dalle diverse opportunità che hanno le diverse razze e le diverse popolazioni presenti sul pianeta.
Vedere i bambini Masa gioire dopo essersi rivisti nel filmato sul telefonino può sembrare persino uguale al sorriso di un bambino occidentale di fronte a una simile situazione, ma non è così. Il bambino occidentale, un giorno, avrà, se già non lo ha, quello stesso strumento tecnico sofisticato; quello Masa, molto più difficilmente avrà non solo la linea telefonica, ma anche la corrente elettrica, l’acqua. Il telefonino non viene prima del resto delle cose, naturalmente, anche se ti fa specie, cosa che avevo già notato 7 anni fa in Benin, quasi tutti i ragazzi e gli adulti hanno il cellulare, magari senza ricarica, ma ce l’hanno.
Delle condizioni igienico sanitarie e della gestione dei rifiuti ho già detto: ma in fin dei conti se la mortalità infantile è così drasticamente diminuita negli ultimi 20 anni, anche qui in Africa, al punto che l’incremento delle morti per AIDS, sempre in aumento al contrario dell’Occidente, non impedisce la crescita impetuosa della popolazione residente, questo vuol dire che i livelli minimi di condizioni di salute sono rispettati. Non dico che le medesime condizioni igieniche non debbano essere migliorate, ma mi preoccupano di più i danni causati dall’uso di pesticidi e diserbanti nella coltivazione del cotone ed il rischio, che è più di un rischio, “diossina” causato dalla bruciatura delle plastiche e dei rifiuti non organici: in quest’area del paese (non so a Sud) non esiste alcun impianto per il trattamento, anche solo bruciatura controllata, dei rifiuti, tanto meno una discarica controllata. In una situazione di questo tipo se guardiamo con l’occhio occidentale inorridiamo; se ci astraiamo dalla nostra mentalità ci accorgiamo che la scala delle priorità non è la stessa che in Europa.
Ignazio
Sabato 2 febbraio
Con il suo passaporto perfettamente in regola Mondo ha deciso di accompagnare Tonino a Bongor.
Sono partiti di mattina presto in moto con l’aria un po’ fredda. Un viaggio breve, circa 15 km, ma travagliato perché fatto interamente su una strada sabbiosa con il rischio continuo di cadere. Hanno lasciato la moto nel posto di polizia alla frontiera e, dopo l’attraversamento in piroga del fiume Logone, sono andati a Bongor con la mototaxi. Poteva andare tutto bene senza imprevisti ? Ma neanche per sogno. La moto taxi di Mondo resta senza benzina ; il problema è stato risolto presto e con l’acceleratore a mano, che chi ha avuto una moto sa cos’è, sono arrivati finalmente a destinazione. Hanno recuperato raccorderia varia che dovrebbe servire per l’irrigazione dell’orto delle fattoria .
In pomeriggio eccoci nuovamente a Mayda e fino a tardi abbiamo cercato di preparare l’irrigazione con il poco materiale a disposizione e adattando raccordi che non volevano sentirne di raccordarsi.
Ignazio ha organizzato una squadra di ragazzini che hanno fatto a gara per scavare 12 canalette.
Purtroppo alle 18 quì è buio pesto e quindi non siamo riusciti a terminare l’irrigazione.
La cena è stata la nostra «preferita» : Boule di pollo. Il pollo era ottimo, ma la boule è faticosissima da buttare giù. Abbiamo « gradito » e fatto i complimenti alla moglie di Janet che ha mangiato con noi assieme ai figli. Chissà come hanno visto questo nostro invito. Per noi è inconcepibile che la donna e i figli mangino separatamente.
Domenica 3 febbraio
Mondo e Rita si sono alzati che stava appena facendo luce, ma era necessario mettere bene a fuoco il problema dell’impianto di irrigazione ed è stato importante che gli altri abitanti della fattoria fossero ancora a letto per poter ragionare con calma e vedere come fare « le nozze con i fichi secchi » perchè quando sembrava di aver collegato tutti i tubi, mancava sempre il pezzo della misura giusta. Alla fine è stata trovata una buona soluzione e subito dopo è cominciata la semina.
Grande felicità di tutti, anche perché non conoscevano il sistema delle canalette. In un primo momento sono stati coinvolti i maschi, sopratutto i ragazzi, ma Chiara ha fatto notare che qui sono le donne le regine dell’orto e che quindi era importante coinvolgere loro.
Janet, la moglie di Robert, è un’esperta e con la piccola Minda (Amore) in groppa, lavora l’orto con profitto. L’anno scorso ha coltivato le cipolle con successo. Chissà come riusciranno a gestire quest’orto, ma abbiamo notato molta buona volontà.
Dopo pranzo abbiamo fatto le foto con tutta la famiglia.
Lunedì 4 febbraio
Oggi è l’ultimo giorno del nostro soggiorno in Camerun. Domani ci aspetta il lungo viaggio di ritorno.Tonino ci aggiornerà sull’andamento dell’orto di Yagoua e di quello di Mayda. Ci sono forti motivazioni e quindi siamo ottimisti, sicuramente si impegneranno per portare avanti il lavoro fatto.
Quando siamo partiti non sapevamo assolutamente cosa avremo fatto, dovevamo vedere e valutare in cosa avremo potuto aiutarli.
Ora è davvero finita!
Tanto è vero che questa mail, iniziata in Africa, termino di scriverla a Cagliari.
Al termine di questa bellissima e cruda esperienza mi domando: quanto è particolare questo angolo di Africa che abbiamo visitato o quanto è diffuso? Mi risponde Tonino: i Masa sono 250.000 persone e quello che abbiamo visto in queste settimane è il loro habitat ordinario, ma lo stesso habitat è comune a tutte le zone rurali dell’Africa nera; quindi, tolta l’Africa settentrionale, quasi tutto il Continente Africano vive in queste condizioni; meglio: la maggioranza della sua terra e dei suoi abitanti, dell’Africa nera, vive in queste condizioni.
Conclusione: per quanto si sia lontani dai nostri standard di vita e per quanto ci possa sembrare paradossale, abbiamo visto nulla di straordinario! E solo questo fatto ci fa riflettere di quanto aiuto e condivisione c’è bisogno. Non è il problema della fame nel mondo; qui non si muore di fame salvo che in periodi calamitosi estremi (siccità, alluvioni devastanti, conseguenti epidemie, etc); tuttavia qui si vive ordinariamente molto, ma molto al di sotto di livelli dignitosi; persino le loro aspirazioni sono molto al di sotto di quelle che ci potremmo aspettare!
Che cosa mi è mancato!
Nell’ordine:
- dormire per 6 ore di seguito; non ci sono mai riuscito, anche qui a Yaogua dove il silenzio è raramente interrotto dal gufo o dai cani (in lontananza). Tanto più a Mayda dove tutto è mischiato, come vi avevo già detto, animali, persone, ambienti; sul piano fisico è stata un’esperienza anche faticosa ed il dormire male contribuisce al senso di fatica; qualche giorno ho avuto anche mal di testa credo per questo stesso motivo;
- mangiare più frutta e verdura; per vari motivi, le abitudini alimentari di Tonino concentrate sulla carne, da buon figlio di macellaio, o la nostra repulsione a mangiare verdure crude che comunque devi lavare con l’acqua corrente, in queste due settimane mi sono reso conto di aver mangiato più carne che in due mesi in Sardegna e pochissimi ortaggi e frutta (per alcuni frutti locali non è questo il periodo migliore)
- la famiglia, gli amici e Camilla; non me ne vogliano i primi due se li accomuno alla nostra cagna, ma due settimane, grazie ai collegamenti internet, sms e qualche telefonata, si possono passare anche senza avere a fianco fisicamente la famiglia e gli amici ed al ritorno avremo modo di condividere ciò che abbiamo vissuto qui compensando in parte il dispiacere che anche voi non abbiate potuto vivere ciò che noi abbiamo vissuto; ma Camilla, invece, la potrò rivedere solo al ritorno…
- un collegamento internet decente; non a caso è l’ultima cosa che metto nell’ordine; con un collegamento internet efficiente avremmo migliorato la comunicazione con l’Europa, ma tutto sommato non mi lamento e penso a quanto sia democratica internet che permette, a costi relativamente bassi, di sapere e comunicare anche in angoli sperduti del pianeta.
Che cosa mi mancherà dell’Africa
Tante cose che ti fanno pensare a quando programmare il ritorno…
Prima di tutto la sensazione che un tuo piccolo gesto (pratico o anche intellettuale) incida così profondamente sul tessuto quotidiano e la contemporanea consapevolezza che da domani non saremo più qui. L’altro giorno stavamo illustrando come coltivare in modo razionale l’orto nella fattoria di Mayda ai ragazzi delle famiglie lì residenti. Si sono applicati in una maniera davvero esagerata; recepivano i nostri “insegnamenti” con una velocità da non credere, ma quel che è più sensazionale hanno preso l’iniziativa loro e , dopo poco tempo, non c’è più stata necessità di dire loro come proseguire il lavoro. Costruivamo le prime canalette di irrigazione che già si mettevano a fare le successive; serviva lo spago per tenere la linea diritta e ne avevamo portato poco da Yagoua; ecco che lo hanno tirato fuori senza neppure chiederglielo. E’ così che è nata la favola dell’OK. Io, persino inconsapevolmente, ripetevo a me stesso ok ad ogni passo fatto, da me o dagli altri nella attività di preparazione dell’orto; mi sono reso conto che ascoltavano con curiosità il mio intercalare. Tenete conto che è già molto se parlano francese, ancora meno masticano l’inglese; mi sono divertito a stuzzicare ulteriormente la loro curiosità traducendo OK in ogni lingua che conoscevo, compreso il sardo e, ovviamente ho chiesto come si dicesse in Masa (per la cronaca si dice yo-o, anche se non so come si scriva). La cosa è diventata presto un gioco, tanto più che la mia pronuncia del termine in Masa lasciava alquanto a desiderare e provocava ampie risate nei ragazzi, tutti quelli presenti alla fattoria (sono alcune decine); sia quelli impegnati nell’orto che quelli che facevano da spettatori contenti di rompere la monotonia quotidiana in cui sono immersi quando non vanno a scuola o accudiscono gli animali. Torno a parlare dell’efficacia dei nostri piccoli gesti per dire che questo legame affettivo acquisito in pochi istanti è stato, poi, anche strumento per far accettare senza difficoltà l’innovazione da noi introdotta. Non sottovalutate quest’aspetto: i Masa, come tutte le comunità fortemente identitarie, sono molto restii all’innovazione; anche se qualcosa sta cambiando, nei giovani in particolare. Ovviamente l’innovazione che dà segni efficaci di utilità o di potenza non tarda ad essere accettata (il telefonino o internet ne sono un esempio). Vedere il sistema di irrigazione da noi introdotto funzionare con velocità ha sciolto gli ultimi dubbi, anche negli adulti abituati ad un altro sistema (dei piccoli quadrati di terra innaffiati con un innaffiatoio) molto più dispendioso di tempo ed impossibile da praticare su una superficie ambiziosa di orto (un ettaro) come si vuole fare qui a Mayda.
In secondo luogo mi mancheranno i bambini; quanti ne abbiamo visti; quanti ce n’è…in che condizioni vivono…; è vero che anche gli adulti non se la passano bene, ma è ovvio che i più deboli sono sempre quelli che soffrono maggiormente, in ogni situazione di disagio. Ci portiamo in Sardegna le loro immagini che accresceranno ancora di più la nostalgia…
Mi mancherà il paesaggio africano; non c’è un paesaggio eguale da noi; del resto l’Africa è un Continente a sé. Non ho vissuto con ansia queste due settimane pur sapendo che diversi pericoli, insiti proprio nella natura del paesaggio africano, erano dietro l’angolo. Anche se non siamo riusciti a visitare il grande Parco Nazionale a Nord di Yagoua (senza passaporti non era prudente muoversi e quando sono arrivati era troppo tardi) abbiamo visto abbastanza della natura africana, anche in termini di animali, dall’ippopotamo ai rapaci ed ai dromedari, qualcosa lo abbiamo visto. E poi è giusto lasciare qualcosa per il prossimo viaggio…
Mi mancheranno Tonino, Renato e Sergio. Abbiamo condiviso con loro 15 giorni di vita quotidiana; siamo stati loro ospiti, ma non ci siamo accorti di esserlo; siamo stati accolti in modo stupendo e troveremo il modo di restituire il senso di ospitalità che ci hanno regalato a partire dalla possibilità che abbiamo offerto a Robert di venire a casa nostra a inizio giugno. Senza Tonino, in particolare, avremo colto meno di un decimo delle emozioni e delle conoscenze di questo angolo d’Africa.
Che cosa mi piacerebbe fare per questo angolo d’Africa
Questo preferisco dirlo a voce, ma già lo abbiamo scritto nella bozza di progetto che proponiamo all’Associazione Il Villaggio dopo che è stato pensato e discusso con gli amici in Camerun. Sono convinto che i nostri piccoli aiuti possano contribuire alla crescita umana e civile di queste popolazioni; non credo che loro debbano assomigliare a noi, ma certo possono avere un livello di vita più dignitoso, una maggiore possibilità di valorizzazione della loro cultura e delle loro tradizioni; una speranza di governare meglio le condizioni climatiche e le avversità naturali.
Ignazio